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Mi domando con voi: ma stiamo davvero imparando da questa dolorosa vicenda che ci ammorba e che semina sofferenza e pure morte?
Fino a due mesi fa avevamo anche il lusso di poterci lamentare della solita routine. Correvamo con ansia dietro le mille scadenze che la vita ci poneva, fino a quando, brutalmente, la realtà ha scardinato ogni schema. L’emergenza Covid-19 ha frenato di botto la nostra corsa, cambiando le nostre abitudini, ma soprattutto ci ha messo di fronte a domande che pensavamo di poter eludere. Ma le domande fondamentali, quelle scritte dentro ogni cuore, sono indelebili. Posso trascurarle, ridurle, tentare di girare la testa altrove, ma poi ci pensa la realtà a farle venire a galla:
Chi sono? Donde vengo? Dove vado? Qual è lo scopo della vita? Perché amare? Perché soffrire? E perché morire? Cosa c’è dopo la morte?
Almeno una di queste domande (ma penso di più, se non tutte) ha fatto breccia dentro la nostra superficialità. Tutto quanto sta accadendo evidenzia la pochezza che siamo, la nostra fragilità, la nostra vulnerabilità, il nostro limite. Ma questo non è un male. Non è masochismo. Anzi, ri-scoprire questo è un bene, perché lo abbiamo dimenticato.
Le generazioni più vecchie, quelle che vengono dalla guerra o da subito dopo, forse un po’ lo sanno ancora. Cosa?
Che non siamo immortali, onnipotenti.
Figli e nipoti sono cresciuti con un po’ l’idea che non dobbiamo morire, che abbiamo in mano formule e strumenti con tanti bottoni: basta schiacciare… Questa vicenda mette in crisi le illusioni, ma aiuta a riportarci nell’umano; a considerare i nostri veri bisogni. Quali sono? Di guardare con simpatia e gratitudine quanto siamo e quanto abbiamo. Per esempio, il vivere in casa ventiquattro ore insieme, come non era mai capitato per così tanto tempo, può farci riscoprire le qualità (scoprire i difetti è più facile) di lei, di lui, qualità che non conoscevamo o davamo per scontate. E questi benedetti figli, quanto ci vogliono, quanto ci guardano, quanto esigono! Forse questi aspetti vincono sul “generico e scontato” quanto “ci rompono”!
E i nostri vecchi genitori?
Ritenetevi fortunati quando potete e volete tenere i vostri genitori con voi e quando potete dare loro le carezze desiderate. Quanto è costata ai figli quell’ultima carezza non data, causa la morte così violentemente arrivata! E quanto i genitori anziani hanno voglia di vedervi dal vero e non attraverso un video, sentirvi non solo attraverso il telefono. Dovevamo e dobbiamo ri-scoprire tutto questo, trascurato o ritenuto secondario, perché pensiamo che prima vengono i nostri progetti, i nostri bisogni, le nostre esigenze e forse anche i nostri egoismi. Fermiamoci su queste cose che emergono dalla realtà. Lasciamoci toccare ed educare da questi eventi. Non buttiamo via la lezione troppo in fretta. A volte ho l’impressione che il cicaleccio che ci circonda, in televisione soprattutto, ma non solo, sia già oltre il problema. Siamo già nella fase di prima, quella del parlarci addosso, quella della ricerca del colpevole, quella della strumentalizzazione.
E il dolore? E la morte? Non ci hanno cambiato, non abbiamo imparato niente? Non possiamo e non dobbiamo riprendere come prima.
Mi viene in aiuto il Vangelo di questa domenica.
I discepoli erano rinchiusi nel Cenacolo impauriti, confusi, forse anche tra loro alla ricerca di chi, nei giorni precedenti, drammatici, si fosse comportato nella maniera più meschina, di chi fosse fuggito per primo, di chi non doveva fuggire per niente… Ma ecco, dentro questa situazione, Gesù viene in mezzo a loro “a porte chiuse”. E sì, la paura spranga la vita, quasi sospendendola. I discepoli hanno tradito, sono fuggiti e sono ancora impauriti. Un gruppetto allo sbando. Una comunità chiusa, dove non si sta bene; manca l’aria. Forse è anche per questo che durante la prima apparizione del Risorto, Tommaso non c’è. Dentro tutto questo, Gesù viene. Dentro le nostre esistenze, comunque stiamo, dentro le nostre case, dentro le nostre paure, dentro i nostri progetti, dentro ciò che stiamo imparando per vivere i nostri rapporti, dentro le nostre ferite, Gesù viene. E ci dice: “Pace a voi”. Non è un augurio; non è un qualunquistico e colorato: andrà tutto bene.
È una certezza, perché la Pace è Lui.
Chi Lo accoglie, chi Lo riscopre, chi Lo prega, chi Lo cerca, ha la pace, perché Lui è la pace. E Gesù è paziente. Viene e poi viene ancora. Ritorna. Si propone alla nostra esperienza: Tommaso, metti qui il tuo dito, tocca, prova. Gesù è fatto così! Ecco perché Tommaso Lo riconosce subito. Il Vangelo non dice che Tommaso abbia toccato, ma che Lo ha riconosciuto e accolto: “Mio Signore e mio Dio!”. È il metodo per cambiare, per convertirsi, per imparare il nuovo sguardo sulla realtà, sulla vita, sulle relazioni. Rischia tutto su Gesù! La fede è il rischio conveniente per essere felici.
Buona Pasqua ancora!
don Eligio